Non so se ha molto senso che l’ideatrice del Non Profit Women Camp scriva le pagelle al suo stesso evento. È come chiedere a una madre di dare un giudizio su suo figlio: sarà obbiettiva? Ma come si può essere obbiettive? Ad ogni modo, chi se ne frega. Volevo raccontarvi un po’ il mio punto di vista, ora che abbiamo tirato il fiato e ci siamo prese un po’ di distanza dal Camp, per cui ecco qui qualche riflessione a caldo.
I WORKSHOP
A differenza delle partecipanti, che ne hanno potuti seguire tre al massimo, io li ho seguiti tutti, due volte ognuno. L’impressione che ho avuto è che di alcune cose c’è davvero una grande, grandissima necessità di parlare. Ne cito uno a caso: l’entusiasmo per l’intervento sul Personal Branding è sinonimo del fatto che abbiamo voglia di farci notare, di uscire dalla nostra comfort zone. E vogliamo parlare del carico mentale? Al mattino e al pomeriggio ho sentito ripetere le stesse frasi: “posso farcela da sola”, “faccio io che faccio prima”, ” non si può delegare”. Abbiamo bisogno di condividere momenti come questi, e forse mezz’ora era troppo poca. Uno spunto da tener presente per la prossima edizione!
IL TALK DAY
Essere dietro le quinte non aiuta forse a seguire al 100% ma dà l’indubbio privilegio di non potersi distrarre nemmeno per un minuto. Le ho amate tutte, le “nostre” speaker, perché ognuna, a suo modo, con le sue parole, è riuscita a lasciare qualcosa: un pensiero, un’idea, anche una critica (costruttiva). Le ho amate per averci sbattuto in faccia numeri, dati, elementi concreti su cui riflettere. Il mio momento preferito? Non c’è dubbio, il Non Profit Women Award 2020. Perché nella sua forza mi ha colto impreparata. Sapevamo il perché volevamo premiare queste donne, ma non eravamo pronte alle loro parole, che sono state un pugno nello stomaco, alle due del pomeriggio.
Da migliorare? Forse la networking room, magari dando la possibilità di interagire one-to-one. O magari farla dal vivo, che davanti a un caffè VERO sicuramente si chiacchiera meglio.
LA MASTERCLASS
Parlare di futuro può essere retorico, a volte. Ne abbiamo piene le tasche, eppure Francesca Folda è stata splendida ad accostare storie di premi Nobel ai piccoli gesti che possiamo fare per creare il nostro domani, la nostra idea di domani. Forse perché eravamo di meno, forse perché nelle stanze di Zoom siamo riuscite a parlare in gruppi più ristretti, ma la chiusura del Non Profit Women Camp è stato un momento più intimo, aperto alla speranza non come momento individuale, solipsistico, ma condiviso con tutte. E alcune di noi erano anche in pigiama, impagabile.
Staff, logistica e altre amenità
Ne ho seguiti tanti, di eventi online, in quest’ultimo anno. Come tutti. Il fatto che solo una volta (solo una!) abbiamo avuto un piccolo inconveniente audio con tanto di remix, mi ha fatto tirare un respiro di sollievo. L’ho detto più volte nel corso delle giornate, ma il rispetto dei tempi è stato per me sinonimo di qualcosa di più grande: è il rispetto per chi parlerà dopo, che merita di avere il suo tempo e i suoi spazi di parola. È stato un gesto di grande correttezza da parte di tutte le speaker e per me va al di là dell’aspetto tecnico della faccenda, che vi devo dire.
Per lo staff, non me la sento di dare pagelle: davvero, è chiedere troppo. Ho visto Francesca, Valentina e Giovanna barcamenarsi tra lavoro, problemi famigliari, tonsilliti e quant’altro, senza mai, nemmeno per un momento, perdere l’entusiasmo per queste giornate. Certo, era il “nostro” evento, ma non era dovuto, non era scontato. E anche Francesca e Claudia, di iRaiser, che si sono alternate con noi nel backend il 5 marzo, sono la prova che si può sostenere un evento in mille modi, economicamente ma anche mettendo a disposizione le proprie competenze, se serve.
Da migliorare? Forse una pausa un po’ più lunga tra le sessioni, non mi piace scegliere tra fare due chiacchiere e andare in bagno!
PER CONCLUDERE
Oggi è la Giornata Internazionale della Donna. Non la festa, come vedrete scritto nei post dei centri di depilazione o dal fioraio: perché non c’è niente da festeggiare, proprio niente. Nel 2021 abbiamo ancora paura di tornare a casa da sole, di notte. Abbiamo paura che qualcuno, ad un colloquio, ci chieda se pensiamo di avere figli. Abbiamo la certezza di essere sottorappresentate in tutte le stanze dei bottoni: politiche, in primis, ma anche sociali, economiche, culturali. Abbiamo la sensazione di dover ringraziare se ci pagano abbastanza, se facciamo carriera, se non ricade interamente su di noi il lavoro di cura.
Nel 2021, siamo ancora qui a discutere se è meglio “direttore” o “direttrice”, silenziate da una TV nazional popolare che ci vuole angeli del focolare, buone e mansuete, lasciando emergere dalla massa indistinta quelle voci femminili che ben si adattano a un sistema patriarcale: loro ce l’hanno fatta, puoi farcela anche tu, come no.
A questa rappresentazione delle cose, non abbiamo mai voluto piegarci. Non possiamo, da sole, modificare una legge, un modo di pensare, una struttura di pensiero che affonda le sue radici migliaia di anni fa. Ma qualcosa possiamo farlo: nel nostro mondo professionale, che è quello del non profit, passando il microfono (per usare una bellissima espressione di Armanda Salvucci) a tante donne e professioniste che avevano e hanno tante cose da dire.
Non so se il Non Profit Women Camp è stato un evento “riuscito”, questo lo potranno dire solo le 280 partecipanti che sono state con noi. Ma di una cosa sono certa: ne sentivamo il bisogno, e da questo momento in poi possiamo solo andare avanti.