Professionalità e fundraising: quante volte si è parlato di come la figura del fundraiser debba essere professionalizzata, sia a livello contrattuale sia nella formazione? Eppure, la stessa professionalità spesso non si trova all’interno di quelle organizzazioni che la richiedono a un fundraiser. Disorganizzazione, mancanza di fiducia o la convinzione che il fundraiser sia ‘l’uomo dei miracoli’ sono solo alcuni degli elementi con cui, volente o nolente, chi lavora nel non profit deve affrontare. Non è raro, di conseguenza, trovare un sentimento di generale sfiducia sulla professionalità del terzo settore, percepito come distante anni luce dal mondo aziendale, più strutturato e in grado di lavorare in ottica strategica.
Quante volte un fundraiser si è sentito dire: “Ma perché non mandare il curriculum alle aziende?” e “Ancora convinto di voler rimanere nel NonProfit?” oppure: “Ma chi te lo fa fare?”. E poi la più saccente che prevede domanda e risposta: “Professionalità e fundraising? I-M-P-O-S-S-I-B-I-LE!”
Sono solo alcune delle domande che negli ultimi anni ci sono state poste, non senza un filo di ironia. E qualche volta anche compiacimento. Come a voler sottindere che ci avevano avvisati.
Certo, molto dipende da situazioni e persone, eppure nella nostra esperienza alcuni elementi sono, purtroppo, ricorrentiLe riflessioni sono scaturite da semplici osservazioni del mondo reale. Ecco 5 cose da sapere, 5 situazioni con cui un fundraiser, prima o poi, si trova a fare i conti:
Organizzazione VS improvvisazione
Sarà pur vero che “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non può comprendere”, ma diciamolo e imprimiamolo sulla pietra: la passione non basta! Credere nella propria missione rappresenta le fondamenta, ma per costruire qualcosa di solido e che funzioni servono organizzazione e disciplina, appunto. Falegnameria. La costruzione di una casa avviene giorno dopo giorno, con lavoratori che compiono le stesse azioni quotidianamente, in cui si specializzano sempre più. Chi affiderebbe compiti simili a qualcuno che senza un preciso piano di organizzazione, ma improvvisando manualità dilettantistica scenda in campo per la passione di costruire belle e grandi case?
Competenze specifiche
Nelle piccole Onp (ma non solo) tutti fanno un po’ di tutto. Questo, nella maggior parte dei casi, genera la dolce illusione di aver acquisito competenze in un determinato ambito. Da qui al momento in cui si pensa di saperne di più di chi quelle competenze specifiche le ha davvero (fundraiser – per esempio? -) il passo è breve. Conseguenza è la difficoltà di ottenere piena fiducia e autonomia nel proprio lavoro.
Gerarchia ed esasperazione dei ruoli
In alcuni casi, la diretta conseguenza di non aver competenze tecniche e/o strategiche, può essere che chi ricopre ruoli di responsabilità rischi di imporre azioni che nella realtà non sono funzionali. Abbiamo sentito dire troppe volte “Si fa così perché lo dico io!” Invece – lo sappiamo – presupposto di una raccolta fondi di successo è anche il gioco di squadra. Confrontarsi, accettare che il fundraiser chiamato in causa abbia una visione più obiettiva è un atto di volontà imprescindibile che richiede buone dosi di fiducia (da costruire, certo), ma anche di umiltà.
Il lavoro a percentuale
La battaglia per eccellenza di chi si fa paladino della professionalità nel fundraising. Non è raro, infatti, che venga proposto al fundraiser un compenso percentuale sul totale di raccolta ottenuto.
Il perché non sia accettabile come unica forma retributiva risiede nel fatto che il fundraising, come altre professionalità intellettuali, è un lavoro che richiede strategia e pianificazione, mentre si costruiscono relazioni consenso e fiducia. L’efficacia di tutto questo – che non dipende soltanto dall’operato del fundraiser – è visibile dopo un periodo di tempo che va dai sei mesi a un anno.
Un lavoro pagato a percentuale, infine, è dannoso anche per la stessa ONP, perché potrebbe attirare persone poco attente agli obiettivi di lungo periodo e più interessate al proprio guadagno personale.
Forme contrattuali
Alzi la mano chi non ha dovuto fare l’equilibrista tra i famosi Co.Co.Co e Co.Co.Pro. e ritenute d’acconto e prestazioni occasionali e partita iva! E alzi la mano chi non ha dovuto sudare una forma contrattuale vagamente dignitosa. Lavorando gratis per un mese, per esempio. O lavorando in nero per un periodo più o meno lungo e, si dice, sulla fiducia. Il fundraiser lo sa che non è ammissibile, ma a volte, per le ragioni del cuore (di cui sopra) e altre volte per mera mancanza di altre opportunità, accetta!
La domanda è sempre la stessa: se ognuno di noi ponesse fine, nel proprio piccolo, a tutto questo si riuscirebbe a ottenere un cambiamento di rotta? Oppure dobbiamo sperare solo in un miracolo?