Abbiamo chiesto a Laura Lugli, Fundraiser e Consulente del fundraising e peopleraising, di chiarirci tutti i dubbi che avevamo sul fundraising di prossimità e di comunità.
Se anche voi, fundraiser di piccole e medie ONP, non siete sicuri di sapere con certezza di cosa stiamo parlando, potete trovare una risposta leggendo l’intervista. Con molta probabilità scoprirete che il vostro lavoro quotidiano rientra già in buona parte nel concetto di fundraising di prossimità ma… c’è qualcosa che potreste migliorare?
Fundraising di prossimità & fundraising di comunità… in cosa si differenziano dal fundraising “classico” di cui ci occupiamo tutti i giorni?
Credo che il Fundraising di prossimità & fundraising di comunità siano una forma territoriale, un nuovo modo di vivere il welfare, ma in generale i servizi alla comunità, anche quelli culturali e dell’ambiente, che si stanno sempre più affermando tra le piccole e medie organizzazioni negli ultimi anni. Non è solo il reperimento delle risorse per la realizzazione delle attività dell’organizzazione, del perseguimento di mission e obiettivi, ma è un modo per stimolare la comunità a prendersi cura di se stessa, del proprio bene comune.
Diventa uno strumento concreto per entrare in relazione e creare con-partecipazione e condivisione nei progetti che realizziamo. Partiamo dalla vicinanza, dalla prossimità con le persone per attivare risorse non solo economiche ma umane, di tempo, beni servizi e competenze per nuove forme di organizzazione delle comunità che rispondano di più e meglio ai bisogni ed ai desideri di coloro che ci vivono. È un po’ come dire che il viaggio è più importante della meta; non si tratta di far finta che i soldi non siano importanti, ma si tratta di spostare il focus dal denaro al valore che, anche con il denaro, si può e si deve generare. Il denaro è uno strumento, un indicatore, non è uno scopo, ma un mezzo per fare ciò che alle persone serve. Diventa un modo nuovo di vivere il territorio, i servizi, di stare nelle relazioni.
Tutto questo cosa significa in termini pratici?
Che il FR di prossimità sposta il focus sul capitale relazionale e sulle condizioni necessarie a livello organizzativo per farlo partire e sviluppare nel medio-lungo periodo. Elementi che nelle piccole e medie organizzazioni, a volte per mancanza d’informazione sensibilità o piena consapevolezza dell’argomento, sono stati scarsamente curati.
Il fundraiser si trova quindi davanti ad uno scenario nuovo, diverso da quello che spesso gli è stato prospettato: deve spesso creare un nuovo contesto, un nuovo ambiente sia a livello di governance sia a livello operativo, capace di far “attecchire” il concetto del dono e quindi del fundraising che su questo agisce, e per farlo necessariamente non può limitarsi all’utilizzo delle tecniche, ma sviluppare competenze trasversali senza le quali non riuscirà ad interagire con donatori, istituzioni, volontari, consigli direttivi e altri enti o soggetti partner di progetto.
Quali sono le 3 parole chiave intorno a cui ruota questo approccio di fundraising?
Dono, cura e felicità.
Dono è lo strumento attraverso il quale poter attivare le risorse, il dono non è più solo un’opportunità di scambio, ma lo strumento che crea e riattiva un legame, un legame sociale. È la concezione del dono di Godbout.
Cura e felicità le mie preferite! Tutti, con più o meno successo, cerchiamo di essere felici e credo sia sempre più diffuso che per stare bene è indispensabile prendersi cura degli altri, dai famigliari, agli amici, dalle relazioni con le persone nella nostra città che hanno una qualche situazione di difficoltà, fino alla comunità tutta. Siamo noi, acquisiamo conferme e consapevolezza dall’interazione con gli altri, abbiamo bisogno degli altri…e quindi possiamo scegliere di prendercene cura. È così… più o meno inconsciamente, ma questo è ciò che accade, perché nessuno può essere felice da solo.
Il fundraising di comunità è lo strumento adatto per le piccole e medie organizzazioni, che devono cercare di valorizzare soprattutto la relazione. Quali sono gli errori commessi comunemente da queste realtà e che allontano le onp dai loro obiettivi?
Crearsi alibi per non fare. Facciamo tutti fatica a fare cose nuove, siamo sempre stati abituati ad un certo schema, cambiare è impegnativo. È proprio un processo della nostra mente e una modalità di prendere decisioni. Procediamo per schemi automatici, la nostra mente è “programmata” per salvare energia….quindi invertire il paradigma e la logica del vivere le relazioni e le organizzazioni rispetto a come è sempre stato fatto sinora, all’inizio crea più resistenze che entusiasmi.
Poi il fatto che le organizzazioni pensano di poter fare tutto da sole. Sono poche le realtà che praticano un’apertura vera e una condivisione di scambio con altri stakeholder per creare crescita. È ancora poco diffusa l’idea che quello che si deve fare in questo tempo è cercare, tutti insieme, di ingrandire la torta delle donazioni, anziché fare le fette più piccole. Più si diffonde questo pensiero e si pratica la prossimità più ci sarà cultura e abitudine del dono, e noi fundraiser, con gioia, ci reinventeremo, magari cominceremo a fare davvero il nostro mestiere.
Che ruolo ha il fundraising di comunità nel processo di riforma del Terzo Settore?
Partendo dal concetto che le leggi di solito arrivano a normare le situazioni e non che le situazioni si creano in funzione delle leggi, oserei dire che il fundraising di prossimità potrebbe avere un grande ruolo nella trasformazione di tutto il Terzo Settore. Implementare pratiche di fundraising contempla modificare le modalità di comunicazione, aprire le organizzazioni ad idee e contributi nuovi, a creare situazioni di “ibridazione” di imprese non profit e for profit, a contaminazioni nuove che potrebbero rivelarsi decisive per le future comunità, a pratiche di accountability che potrebbero contribuire notevolmente ad accrescere il patrimonio di fiducia delle stesse comunità, elemento questo indispensabile a far funzionare anche il settore for profit e la pubblica amministrazione.
Allora la domanda forse sarebbe: cosa può fare la Riforma del Terzo settore per favorire (finalmente) la pratica del fundraising di prossimità?