Oggi vorrei parlarvi di Claudia.
Cladia è una fundraiser, anche se ora lavora per un’agenzia di pubblicità. Le ho chiesto di incontrarci ieri perché ero curiosa di approfondire un post che aveva pubblicato quasi un anno fa (sì, avete letto bene, un anno fa) sul gruppo Facebook Fundraising – Non importa come lo dici ma come lo fai. Mentre rileggevo il suo post e mi arrovellavo sulla campagna del 5×1000 ho scoperto per caso che stava lavorando ad una pubblicità con il mio compagno, e organizzare una cena è stato questione di un attimo – Torino è veramente piccola a volte!
Claudia non ha un master in fundraising, e me lo dice appena ci vediamo.
Poi, però, mi racconta quello che ha fatto per l’associazione per cui lavorava, insieme al suo gruppo di colleghi. Mi parla di un ufficio fundraising che non c’era, delle difficoltà nel relazionarsi con il CdA, delle attività che hanno messo in piedi in poco meno di 8 mesi: snocciola numeri, donazioni, campagne solidali riuscite e altre meno, e lo fa con una luce negli occhi che mi piace un sacco.
Ci hanno insegnato che il fundraising è (anche) una questione di contatti: da chiedere alla governance, da estrapolare da un database, da coltivare e rinnovare di continuo. Vero, verissimo, ma ogni tanto si corre il rischio di sentirsi bloccati se il contatto non c’è, o non arriva subito. A me, per esempio, è successo qualche giorno fa: come vi dicevo, pensando al 5×1000, mi ero messa in testa di fare una piccola azione di guerrila marketing e continuavo a tergiversare perché nessuno del mio CdA aveva legami con l’azienda che mi interessava coinvolgere.
E qui arriva Claudia.
Davanti ai suoi racconti la domanda è stata spontanea: “Ma come avete fatto?” La risposta è stata semplice, forse ovvia: “Fede,mi sono attaccata al telefono finché qualcuno non mi ha detto di sì”.
Pensate che sia scontato? Non lo è, anche tra i fundraiser. Nella sua risposta vi ho letto tanta passione – “Sapevo che non stavo chiedendo soldi, beni, o spazi per me, ma per i ragazzi che vengono aiutati dalla ONP” – e tanta professionalità – “Volevo spendere il meno possibile, per lasciare più fondi ai progetti, per questo insistevo sulla gratuità”. Vi ho letto anche la piena adesione ad una causa in cui si crede davvero, al punto da coinvolgere amici e conoscenti per realizzare (gratis, bien sur) lo spot del 5×1000. Se questo per voi è scontato, beh, per me non lo è per niente.
Non lo è perché è la dimostrazione concreta che al di là di tutti i corsi, di tutte le teorie, il punto rimane quello: se hai paura di chiedere, non puoi definirti fundraiser. E non parlo solo di chiedere soldi, ovviamente. Parlo di quella voglia di mettersi in gioco, di osare, di tirare fuori anche un po’ di faccia da culo – perdonatemi l’espressione – per ottenere il massimo al minimo dei costi, con la soddisfazione di tutti gli attori in gioco. Parlare con Claudia ieri mi è servito per ricordarmi, ancora una volta, questo principio, e per tornare al lavoro oggi con una rinnovata energia.
Per questo ho scritto questo articolo, perché non tutti hanno una Claudia con cui andare a cena!
L’ho scritto anche come messaggio di augurio per le matricole del Master in Fundraising che proprio oggi hanno iniziato le lezioni: in bocca al lupo neo-fundraiser! Avete la possibilità di apprendere le basi della vostra futura professione, ed è una cosa utilissima, ma il mio augurio di oggi vuole essere leggermente diverso: siate come Claudia. Non abbiate paura di appassionarvi, di lasciarvi coinvolgere, di mettervi in gioco. Sopratutto, non abbiate paura di chiedere!