Sono giorni difficili per chi lavora nel Terzo Settore. Volenti o nolenti, tutti noi abbiamo letto con un certo sgomento le accuse lanciate alle ONG dal procuratore di Catania di collaborare con i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Tutti ci siamo affannati a cercare il nome della nostra ONP nella lista del 5×1000 pubblicata dall’Agenzia delle Entrate, salvo poi notare – sgomenti – che non ci sono belle notizie in vista. Non solo cala il numero dei sottoscrittori, ma alcune dichiarazioni (l’illustre prof. Zamagni su Il Fatto Quotidiano e quelle del sottosegretario Bobba su Vita) non lasciano presagire nulla di buono, se non l’ennesimo carico di sfiducia e pessimismo di cui le ONP sembrano doversi fare carico ormai da anni.
Come se non bastasse, seguendo diversi enti sui social, non posso fare a meno di notare che questo clima di pessimismo ( o indifferenza, nella migliore delle ipotesi) ormai va per la maggiore. Iacopo Melio – il fondatore di Vorrei prendere il treno, per chi non lo conoscesse – si è trovato a dover ribadire pubblicamente l’estrema trasparenza dei progetti finanziati dalla sua Onlus. E le cose non vanno bene nemmeno se sei Telethon, perché se leggete i commenti sotto la loro pagina Facebook sono tutti un ruminare di sospetti, pregiudizi, commenti dettati da un mix di credenze popolari, scie chimiche e gomblotti. Un disastro insomma.
La mia vita da fundraiser
Tornando in ufficio, in questi giorni, ho ricevuto la lettera di Wanda. Wanda è una signora di settant’anni, un prospect di un anno fa diventata oggi una fedele donatrice. Nella sua semplice lettera – una risposta agli auguri di Pasqua – mi raccontava la sua giornata, e ribadiva in chiusura la sua fiducia nel lavoro che portiamo avanti come Fondazione. Quella lettera mi ha fatto sorridere, forse perché così diversa dal clima esasperato che respiriamo ultimamente.
E’ stato un periodo intenso: prima Pasqua, poi il 5×1000. Siamo già in preparazione di una nuova campagna per la festa della Mamma e come se non bastasse c’è un nuovo mailing per giugno. Insomma, la mia giornata lavorativa è focalizzata sul donatore, vero o potenziale, e mi rendo conto che tutte queste polemiche inquinano profondamente il mio lavoro.
Vorrei poter spiegare che i soldi del 5×1000 arrivano dopo due anni, che non ringraziamo la signora Maria Rossi per il semplice motivo che il suo nome, così come quello degli altri sottoscrittori, non mi è reso noto. Vorrei portare per mano gli scettici e gli sfiduciati nei laboratori di ricerca, all’interno dell’ospedale, e ragionare con loro sul fatto che, certo ci saranno delle lacune da colmare, ma il nostro lavoro è importante, e proviamo a farlo bene. Tuttavia non ho il tempo, o non ho gli strumenti istituzionali per poter fare tutto questo. Torno quindi a testa bassa alla mia lettera, alla mia campagna, e mi auguro di riuscire a trasmettere lo stesso sentimento di fiducia e speranza che ho io mentre scrivo.
La mia vita da donatore
I veri fundraiser – ne sono certa – sono anche veri donatori. Scelgono con cura ( e a volte solo di pancia) i progetti da sostenere, e si innamorano di una causa nello stesso modo con cui cercano di far innamorare altre persone quando lavorano. Io sono volontaria e donatrice per diverse cause, e sono davvero convinta che questa esperienza mi sia utile per capire l’altro lato del mondo – quello a cui mi rivolgo ogni giorno.
Dono il mio 8×1000 alla Chiesa Valdese e il mio 5×1000 alla Fondazione Ricerca Molinette. Avrei problemi a spiegarlo, a rendere pubbliche queste mie scelte? No, perché è una decisione che prendo con consapevolezza, e avrei piacere che entrambi questi enti sapessero che, oltre alle normali donazioni, credo a tal punto nella loro mission che sono pronta a devolvere una parte delle mie tasse in loro favore.
Sono anche presidente e volontaria di una piccola Onlus, LetWomen. Avremmo tutte le carte in regola per accedere alle liste del 5×1000 eppure non lo facciamo. Perché? Perché siamo piccole, e la cifra che raggiungeremo con le firme delle nostre volontarie sarebbe minima. Preferisco che quei soldi vadano ad enti in grado di fare più cose: a noi, per ora, bastano le donazioni in beni e la buona volontà dei volontari. Sono a favore della redistribuzione delle non preferenze alle piccole ONP? No, per lo stesso motivo di cui sopra. Cento euro in più non cambierebbero il nostro modo di lavorare, e non darebbero una svolta significativa al nostro operato.
Ma continuiamo. L’anno scorso ho visto con i miei occhi come operano alcune grandi ONG nei campi profughi in Grecia. Male. Eppure, non mi passerebbe mai per la testa di dire che “l’organizzazione X non sa fare il suo lavoro, ruba i soldi dei donatori e tradisce la loro fiducia”. Mi hanno insegnato a non fare di tutta l’erba un fascio, a separare il miglio dal grano. Magari altrove sono più organizzati e lavorano meglio, o hanno persone più valide. Allo stesso modo, così come c’è l’idraulico onesto e quello truffaldino, sono sicura che questa problematica tocchi anche il Terzo Settore, e non credo serva a nulla far finta di vivere nel paese degli unicorni.
Però ci si può informare. SI può leggere i bilanci, visitare le sedi, chiedere informazioni. Si può anche scegliere di non donare, senza però prendersi la briga di giudicare o instillare dubbi laddove non dovrebbero essercene.
E quindi?
Quindi niente, non ho soluzioni particolari. Di ritorno dal residenziale di Assif, lo scorso 21 aprile, mi porto dietro la consapevolezza che l’Associazione Italiana Fundraiser dovrebbe esercitare, insieme alle altre figure operanti nel Terzo Settore, un ruolo importante ai grandi tavoli decisionali della politica e della comunicazione. Lo potrebbe fare a livello nazionale, ma anche localmente, lavorando giorno per giorno con i fundraiser che lavorano sul territorio: formandoli a una cultura del dono che vada al di là delle tecniche di marketing, che sappia riconquistare il donatore grazie alla relazione profonda che si instaura con il tempo, con la pazienza.
Tuttavia, mi dico anche che questo cambio di prospettiva può e deve partire anche dai donatori: con il coraggio di dichiarare il loro sostegno, la loro appartenenza ad una “causa”. Senza rischiare di essere tacciati di ingenuità, ma facendo sentire la loro voce, il loro desiderio di essere accomunati alle centinaia di operatori, formatori e volontari che ogni giorno contribuiscono a sostenere.
Infine, l’invito che rivolgo prima di tutto a me stessa, è quello di una rinnovata attenzione per le parole: parlare (o scrivere) è comunicare. Se posso evitare di alimentare polemiche sterili, se posso esimermi dal dare giudizi affrettati, se posso usare le parole non per seminare il dubbio ma per aiutare a comprendere, allora avrò fatto bene il mio lavoro, sia come fundraiser sia come persona. Come è scritto nel manifesto di Parole_O_Stili:
Il potere delle parole: commuovono, scaldano il cuore, valorizzano, danno fiducia, semplicemente uniscono…diffondiamo il virus positivo dello “scelgo le parole con cura” perché “le parole sono importanti”.
Hai raccontato bene quello che senti, che molto sentono, che alcuni sono e fanno. Ti credo.
Grazie Francesco!