La fine di aprile coincide con due anniversari importanti: il mio arrivo come responsabile fundraising e comunicazione per la Fondazione Ricerca Molinette e la prima bozza di questo blog – due progetti all’inizio, due startup nel vero senso del termine. E’ stato un anno intenso, sotto tanti punti di vista, e penso che possa essere interessante condividere con voi alcune riflessioni (il perché di questo titolo lo scoprirete alla fine del post).
Fundraiser per caso, ma non per molto.
Ad oggi non ho ancora conosciuto nessuno che da grande volesse “fare il fundraiser”. A questo lavoro ci si arriva per mille vie – c’è il volontario, l’attivista, l’appassionato di cause perse e quello che “ci provo perché è una professione emergente”. Si può diventare fundraiser per caso, insomma. Tuttavia è ugualmente vero che fundraiser non ci si improvvisa: non basta avere idee originali e sperare nella buona sorte. Se c’è qualcosa che davvero ho imparato quest’anno è che gli step del fundraising sono quattro:
Pianificare, pianificare, pianificare, chiedere.
Soprattutto quando si avvia una startup, procedere senza pianificazione è un’azione suicida degna del miglior kamikaze, con la differenza essenziale che avrete buttato al vento i soldi dei vostri donatori – e non è poco. La pianificazione è qualcosa che riguarderà ogni aspetto della vostra attività: la gestione del budget, la redazione di un calendario editoriale, di una campagna Ads su Facebook o Google, l’uscita di una campagna, l’avvio di un mailing. Nulla va lasciato al caso, e quando sei agli inizi ci sono tante di quelle cose che non sai – e non sai di non sapere, come direbbe il buon vecchio Socrate – che il rischio di improvvisazione è altissimo.
Fundraising e startup: le cose che non ti dicono.
Iniziare da zero un’attività di raccolta fondi non vuol dire solo analizzare e comprendere l’attività della ONP, né aumentare l’impegno della governance. Coltivare la relazione con i vostri donatori, poi, sarà l’ultimo dei vostri problemi. Ci saranno, invece, un mare di ostacoli di natura squisitamente burocratico-tecnico-amministrativa il cui unico scopo sembra essere quello di rallentare le cose. Ecco alcuni esempi:
– le POSTE: le Poste sono il Male. Richiedere i bollettini postali, avviare le procedure per gli sconti dedicati al non profit, conoscere le tabelle per spedire con il ROC, Posta Target Creative, Prioritaria e piccione viaggiatore: ogni procedura porta con se pagine di documenti, decine di mail, telefonate e incontri. E quando credete di aver finito, non sarà così. Per non parlare del pubblico: autorizzazioni, permessi, convalide e richieste consumeranno più carta di quanta ne possa produrre una foresta.
– I FORNITORI: tu non li conosci, loro non conoscono te. Chiederai un preventivo per ogni cosa, partendo da quelle ‘ovvie’ – database, acquisizione liste – a quelle meno scontate. Quanto costa stampare 3000 locandine? E un roll-up? E 5000 profumatori per auto? Il mondo dei fornitori è un labirinto di cui pochi hanno la chiave, ma ha capacità di assorbire il tuo tempo come pochi altri sanno fare.
– La FORMAZIONE sul campo: non basta, non basta mai. Tutti sono bravi a scrivere quanto è bello attivare Google Grants ma nessuno ti spiegherà come attivare la procedura corretta. Nessuno ti dirà che per creare una campagna AdWords non puoi procedere per tentativi, che Analytics e gli Insight di Facebook vanno monitorati e interpretati, che la SEO non è un acronimo per specialisti ma riguarda anche te, e la ONP per cui lavori. Senza parlare dell’organizzazione di eventi, dei contatti con la stampa e di tutto il mondo dei social network. Sarai sempre sui banchi di scuola.
Fundraising e startup: o “del non dormire la notte”.
Un fundraiser di una grande organizzazione è una rotellina nell’ingranaggio. Fa bene il suo lavoro, torna a casa e il giorno dopo si siede alla sua scrivania sapendo che, in caso di dubbi, potrà riprendere in mano la storia della ONP e vedere quello che già è stato fatto.
Un consulente di fundraising arriva nella ONP, la studia, la ‘vive’ per un certo periodo (magari si appassiona anche, perchè no) e poi esce in punta di piedi, sperando che il cammino fatto insieme basti a far camminare l’organizzazione con le sue gambe.
Il fundraiser interno che lavora in una ONP in fase di startup è un animale strano: quando esce dall’ufficio si sente in colpa, perché non riesce mai a vedere il lavoro fatto, ma solo quello che ancora è da fare. Quando torna a casa, non smette di pensarci – starò andando nella giusta direzione? Starò facendo il possibile? – sono domande fisse che il fundraiser si pone quando si gira inquieto nel letto, sapendo che solo il tempo potrà dare una risposta. Il fundraiser interno che lavora in una startup la segue come un figlio, sperando che diventi grande, adulta, matura. E’ un percorso bellissimo, che richiede una grande pazienza, regala enormi soddisfazioni ma anche una buona dose di ansie . Ed è per questo che dedico questo post a tutti i miei colleghi che lavorano in una ONP agli inizi: non lasciatevi abbattere, perseverate! Trovate uno, due colleghi con cui confrontarvi – a Torino c’è #fuorilospritz il 5 maggio – ma non vi scoraggiate! Facciamo il mestiere più bello del mondo in fondo, no?
é un animale strano (e stranito spesso) anche un fundraiser interno che lavora in una Onp che non è in fase di start-up. Ma leggere che siamo in molti a non dormire la notte è confortante. Se non fossi troppo stanca e non dovessi dormire almeno 8 ore a notte, proporrei una chat notturna 😉 Grazie per il tuo post Federica (che ho letto ieri e ri-letto oggi e se non dormo pure lunedì prossimo). Avanti tutta!
Sottoscrivo tutto Federica, punto per punto, virgola per virgola, ansia per ansia!!!