A me piacciono gli Usa. Se penso agli Stati Uniti d’America penso alla nazione del pragmatismo per eccellenza e penso alla terra delle possibilitá. Se immagino il fundraising e la vita di un fundraiser oltreoceano associo le stesse cose e ve ne aggiungo un’altra: cultura del dono. Lo sappiamo che abbiamo molto da imparare – e copiare (sic!) – dal popolo statunitense. Ma loro da noi?
Per capire quanto di vero ci sia nella mia idea di fundraising negli Usa ho intervistato il prof. Valerio Melandri che vive a New York, dove insegna alla Columbia University “Factors Critical to Success in Fundraising and Development: The European Model”. E gli ho chiesto anche se quanto accade in House of Cards si avvicina alla realtá.
In America si fa raccolta fondi per tutto. Dalla piccola associazione parrocchiale ai livelli alti della politica. Ma è più diffusa la cultura del dono o più riconosciuta e affermata la professionalità del fundraiser?
Rispetto a questo discorso credo sia necessario tener presente che gli Usa sono uno dei pochi Paesi al mondo che non ha vissuto l’esperienza di un monarca o di un dittatore. É uno Stato nato libero e immediatamente democratico. Questo ha generato l’abitudine al fare e non ad aspettare. Naturalmente non tutti gli americani sono uguali, ma l’amore per l’associazionismo nasce da questo. Caserme dei vigili del fuoco, parchi, comunitá di quartiere, scuole. Il bene pubblico è sempre stato vissuto come bene della comunità. Si tratta di un fatto storico.
Da noi c’è il Welfare State, che costa molto, ma é per tutti, che, con pregi e difetti, aiuta sempre chi ha bisogno. Oltreoceano esiste il Welfare Capitalism che, sempre con pregi e difetti, è insito nel pensiero americano. Per fare un esempio: il community garden è il giardino della comunità, non è il giardino pubblico. E questo fa un’enorme differenza.
Dopo più di due anni trascorsi a lavorare nella Grande Mela, qual è l’insegnamento più importante che ha traslato sulla sua esperienza di consulente professore e pioniere del fundraising?
La percezione che il fundraising non sia un problema di soldi, ma di cultura. Negli Usa c’è l’abitudine del dono. Io lavorerò ancora di più per diffondere la cultura del dono in Italia. É certamente vero che in America ci sono più soldi, ma non è vero che questo è il ‘problema’. Gli americani a una richiesta di donazione non domandano mai il perché dovrebbero donare, piuttosto rispondono: “questa volta non dono”. Il che è molto diverso.
In quali settori dovremmo assolutamente copiare dagli americani?
Innanzitutto nelle scuole pubbliche. Poi nei tre grandi settori da noi ancora molto indietro per quanto riguarda l’ambito della raccolta fondi: Ospedali, Università – sia pubbliche che private – e Centri culturali (musei, teatro ecc.). E non si tratta di strategie impensabili, sono tutte cose applicabilissime.
Rispetto alle tecniche di raccolta fondi: cosa si fa in Italia che negli Usa è acqua passata?
Niente, semmai direi il contrario. In Italia ho visto cose molto raffinate che negli Usa non sono ancora utilizzate. Per esempio un tipo di mailing cartaceo che da loro funziona e da noi non potrebbe piú funzionare.
Cioè?
Il mailing a cui mi riferisco è molto semplice, non applica tecniche particolari come l’appello emotivo, una scrittura mirata. In un certo senso è più rude. Questo risente sempre del modello culturale di cui ho parlato e della maggiore disponibilità economica. Noi siamo costretti dalla mancanza di soldi e di cultura del dono a mettere in campo strategie più sottili .
Racconta spesso l’aneddoto sulla richiesta di donazione, a inizio anno scolastico, da parte della scuola (pubblica) frequentata da sua figlia. In America è consuetudine. Perché in Italia le scuole che provano a farlo finiscono nel mirino dei media e criticate da più parti? È sbagliato l’approccio delle scuole o si tratta, ancora una volta, problema culturale?
Esattamente quello che dicevo prima: la causa é da ricercare nella mentalità da Welfare State. Del resto fino a qualche anno fa in Italia non c’era bisogno di chiedere denaro per far funzionare la scuola pubblica. Inoltre, per ora le scuole stanno sbagliando la metodologia di richiesta e generano solo diffidenza invece che spirito di collaborazione.
Lo stipendio medio di un fundraiser negli Stati Uniti è più alto rispetto al Bel Paese?
Direi di ben quattro volte! Anche se molto varia a seconda dello Stato in cui si vive. Quindi tutto dipende da dove: una cosa é essere fundraiser in una cittá cara come New York un’altra in luoghi dove il costo della vita é più basso. E poi il fundraiser è una figura riconosciutata negli Stati Uniti, di conseguenza ne risente anche lo stipendio. Un direttore di fundraising supera ampiamente i 100.000 dollari all’anno.
È vero che gli americani non utilizzano molto lo street fundraising? Perché?
Verissimo. Ha impressionato anche me. Credo soprattutto per motivi culturali. La prassi è che non ci si ferma a chiacchierare in strada con gli sconosciuti. Ne ho parlato con molta gente per capire e credo che la spiegazione sia questa. Anche se ho visto che alcune grandi Organizzazioni, tipo Save the Children e Medici Senza Frontiere che, stanno iniziando.
In una famosa serie tv, House of Cards, a Washington, politica, raccolta fondi e lobby sono molto intrecciati e spesso le dinamiche devono rimanere dietro le quinte. Quanto e come la fiction si avvicina alla realtà?
Quella fiction è assolutamente realistica. Escluse le esagerazioni chiaramente frutto della storia, (ad esempio gli omicidi, almeno speriamo…!). Io ho guardato tutte le stagioni due volte: la prima in inglese e la seconda con i sottotitoli, per essere sicuro di aver capito bene. Gli intrighi e i giochi corrispondo al vero. Del resto il modello americano maggioritario, in un certo senso autoimpone continue contrattazioni. Si tratta di una questione di equilibri che rendono il sistema politico molto piú vicino al vero proporzionale. Sono negoziazioni indissolubilmente legate anche al fundraising. Di sicuro Hilary Clinton, la probabile candidata democratica alla casa bianca trascorrerá i prossimi otto-nove mesi a raccogliere fondi.
E in Italia?
Certo, ma il vero problema ruota, ancora una volta, attorno al finanziamento pubblico. Noi lo abbiamo sempre avuto e quindi non é stato necessario rendere conto al proprio finanziatore.
Cosa non le ho chiesto che vorrebbe raccontare?
Voglio dire che secondo me dovremmo dedicarci allo studio dei migliori modelli negli Stati Uniti. È importante guardarsi intorno, capire cosa accade dall’altra parte del mondo, il perché e come potremmo renderlo applicabile in Italia, soprattutto in questo momento storico così difficile. Mi piacerebbe portare venti-trenta grandi Organizzazioni pubbliche (ospedali, teatri, musei e universitá) in America a copiare!