Quanto sarebbe bello un corso su come imparare ad ammettere un fallimento? Forse sarebbe poco frequentato, perché la maggior parte di noi ha la tendenza a prendersi il merito di ciò che funziona bene (anche se si tratta di un caso fortuito) e dare ad altri la colpa di ciò che non ha funzionato. Ci sarebbe quindi un’aula vuota, forse, eppure sarebbe un corso importante. Già, perché ammettere un fallimento è il primo passo per rielaborare un insuccesso, mettersi in discussione e ripartire su nuove basi – sia a livello personale sia come professionisti.
Fai come Michael Jordan
“Nella vita ho fallito molte volte, ed è per questo che alla fine ho vinto tutto”. L’ha detto uno dei più grandi cestisti della storia, perché non può valere anche per noi? Perché viviamo in una società in cui ammettere il fallimento è più difficile che per la regina Elisabetta confessare di aver sbagliato colore del cappello. Eppure, pensiamoci un attimo: quanto sarebbe utile un incontro con qualcuno che, umilmente, racconta cosa NON è andato, ciò che NON ha funzionato, ciò che aveva sottovalutato? Forse non emergerà il ritratto invincibile di chi ha tutto sotto controllo, ma aiuterebbe moltissimo chi si avvicina al mondo del fundraising e ha una paura matta di sbagliare.
Ammettere un fallimento vuol dire imparare dai propri errori
Negli Stati Uniti, 6 anni fa, nacquero i FailCon: conferenze in cui imprenditori e professionisti affermati salgono su un palco e raccontano i loro insuccessi. Questi eventi hanno un grandissimo seguito, e sapete perché? Perché si impara più da un fallimento che da un successo! Ecco perché sarebbe bello, ogni tanto, sentire anche delle storie non a lieto fine. I banchetti deserti perché nessuno aveva previsto un piano B in caso di pioggia; le centinaia di gadget accumulati in uno stanzino per stime errate; l’evento in cui non si è raccolto un euro ma si è speso tanto; la campagna di crowdfunding che si è spenta senza arrivare all’obbiettivo: sono tutte cose con cui ogni ONP, ogni fundraiser si è trovato a fare i conti, e fanno parte della vita vera molto più di quanto si possa immaginare.
Cosa fare con un flop?
Visto che non ci sono corsi ad hoc, te lo diciamo noi. Per prima cosa, caro fundraiser, concentrati sugli errori che secondo te hanno determinato l’insuccesso della tua iniziativa. Ti servirà per renderti conto del perché quella campagna non è andata in porto, e ti darà gli strumenti per ripartire. Non rinunciare alla tua idea, ma identifica i punti positivi (dai, qualcosa di buono ci sarà stato per forza!) e sostituisci gli eventuali ostacoli che hai incontrato con le possibili soluzioni che avrai individuato. Ricordati che non può essere solo colpa tua: fai bene ad ammettere un fallimento, ma è inutile concentrarsi solo sul risultato finale. Quali sono le responsabilità di chi sta intorno? Avevi tutti gli strumenti giusti per valutare un’iniziativa? Hanno insistito per fare qualcosa nonostante tu non ne fossi convinto? Riparti cercando di coinvolgere subito quel membro del CdA o quel volontario che ti è sembrato più disponibile, rivedi la tua strategia e rimettiti in strada correggendo il tiro!
Segui il loro esempio
I grandi nomi del fundraising difficilmente ammetteranno di sbagliare, forse. Eppure, nel Terzo settore c’è chi l’ha fatto con grande coraggio: sono gli Engineers Without Borders (Ingegneri senza Frontiere) che ogni anno pubblicano un report chiamato “Admitting Failure” in cui spiegano cosa non ha funzionato dei loro progetti e perché. Si tratta di una grande dimostrazione di fiducia, perché sanno benissimo che dichiarare un insuccesso, in un mondo decisamente restio alla parola “investimento” può voler dire perdere un donatore. Eppure lo fanno, consapevoli del fatto che, se ben compresa, questa ammissione può rafforzare una volta di più il legame con il donatore.
Ecco, non vi chiediamo di fare lo stesso, anche se vi diamo come spunto un’interessante lettera di scusa di una ONP per un progetto non riuscito. Però pensateci. Riflettete per un secondo, voi che siete ormai ‘voci autorevoli’, a quanto ci farebbe bene – a noi, timidi novellini del fundraising – sentire una di queste storie. Pensate a quanto sarebbe importante sapere che anche i big sbagliano e hanno imparato dai loro errori: ci aiuterebbe a lavorare con più freschezza, forse. Meno presi dall’ansia di prestazione (devo lavorare bene per dimostrare che sono bravo) ma con una visione più collettiva (devo fare bene per permettere alla mia ONP di crescere). E anche voi, che vi siete affacciati al mondo del fundraising da poco e siete ancora avidi di domande, di confronto, prendete nota dei vostri errori (perché ne farete o ne avete già fatti!) e magari scriveteci due note qui sotto: il confronto fa sempre bene, siete d’accordo?