Giovanna Bonora è uno di quei nomi che senti da subito, quando entri nel settore. Sai che è Senior Major Gifts Officer in Bocconi, quindi non ti aspetteresti la t-shirt dei Velvet Underground, eppure lei è proprio così: una personalità esuberante unita a una grande professionalità. Inaugurando quindi la serie di post a tema “Intervista col fundraiser” ho scelto di partire da lei, che tra l’altro ha vinto il Premio IFA – Italian Fundraising Award – nel 2019.
Per prima cosa parlaci un po’ di te: come sei approdata al fundraising? Da dove arrivi? Era il lavoro che sognavi di fare da grande?
Sognavo di diventare magistrato e studiavo per questo, quindi sono arrivata a scoprire questa professione solo a 27 anni. Dopo tanti anni di attivismo per Amnesty International -oltre che di studio e di lavori più o meno casuali- ho trovato nel fundraising un modo per entrare da professionista nelle organizzazioni in cui credevo e che amavo. Missione compiuta! (Anche se continuo a sognare di fare la trapezista).
Il mondo del lavoro, per quanto riguarda il fundraising, è molto cambiato rispetto a qualche anno fa (o no?). Che consigli daresti a chi si sta avvicinando a questa professione?
Amo dare consigli, soprattutto non richiesti! A un/una giovane aspirante fundraiser darei tre suggerimenti.
1. Cercare di lavorare per tante organizzazioni, almeno all’inizio della propria carriera – e anche di non disdegnare esperienze diverse: ogni lavoro che ho fatto, dall’interprete alla hostess del GP di Formula 1, mi ha insegnato qualcosa di importante.
2. Sfruttare la passione per la condivisione dei colleghi più anziani (ehm, senior) come me: la nostra community, nonostante tante divisioni apparenti, in realtà è molto coesa e lo scopro ogni volta che mi confronto a tu per tu con un fundraiser in modo totalmente aperto.
3. Non cedere all’idea che il nostro lavoro sia già ampiamente ripagato dalla passione e che quindi si possa, o si debba, accettare un salario inadeguato (ti ho già detto che sono un ex avvocato del lavoro?): sarebbe paradossale lottare per la dignità degli altri se non si impara a lottare anche per la propria, non trovi?
Cosa ti piace di più, e cosa meno del fundraising?
Di questa professione amo – oltre ovviamente alle cause a cui decido di dedicarmi- il nodo magico della relazione: con i donor, con i beneficiari, con i colleghi della mia organizzazione, con i fundraiser che lavorano in altre organizzazioni. Tornando da un evento dedicato ai nostri donor, qualche anno fa, ho pensato felice che avrei passato volentieri la serata con ognuno di loro anche se non fosse stato un impegno di lavoro.
Quello che mi piace di meno è l’autoreferenzialità del nostro settore, la nostra tendenza a identificarci così tanto con la causa da pensare che tutti dovrebbero magicamente cadere sotto i colpi della nostra lettera o telefonata. E anche il pensiero “tanto per voi è facile raccogliere soldi”, versione fundraising-oriented del caro vecchio motto sull’erba del vicino. Nessuna causa è facile, perché nessuna causa è -ahinoi- universale. Basta contare i morti nel Mediterraneo per capirlo, no? E riuscite a immaginare una causa più (apparentemente) universale della vita umana stessa? Io no.
In Bocconi ti sei “specializzata” nel corporate fundraising, e sei anche docente su questo aspetto specifico. In base a quella che è la tua esperienza, ci puoi dare tre consigli (3!) per avvicinare con successo un’azienda? (o dipende tutto dal fatto che dietro hai il nome Bocconi? No, vero??).
No, nessun nome da solo basta. Se i nomi poco noti spesso rimangono inascoltati a bussare alla porta, i nomi noti spesso portano con sé un’infinità di pregiudizi, tra cui quello della “mancanza di bisogno” o sono più spesso vittime di scandali reputazionali o fake news. Contano le persone dell’organizzazione -a partire dalla leadership- e la loro voglia di impegnarsi al fianco del fundraiser, questo sì (vedere alla voce “board”, tema di cui si sta occupando molto e bene Simona Biancu). Ma ecco i miei tre suggerimenti.
Primo: siete proprio sicuri di avere bisogno di una donazione corporate? Perchè – non lo dico io, ma lo dice il ben più autorevole Adrian Sargeant: “Corporate fundraising should (…) not be regarded as a panacea for cash-starved non-profits. It is a highly complex form of relationship fundraising that will not suit either the needs or capabilities of every organization. The potential to make money from this market must be carefully evaluated and a strategy for entry developed only where there is a clear rational for doing so” (Adrian Sargeant, Elaine Jay, “Fundraising Management: Analysis, Planning and Practice”, Routledge, 2004).
Secondo: dimenticate i terribili pronomi e aggettivi “noi”, “nostra”, “nostro”: “la nostra organizzazione”, “il nostro progetto”. Alle aziende interessa solo come pensate di risolvere- insieme a loro- un problema sociale che, indirettamente o direttamente, le riguarda. E quel “come” li deve coinvolgere sin dal momento dell’ideazione. È la co-progettazione, bellezza! Terzo e più importante: non cercate di evangelizzare le aziende, per favore! Molto spesso sono più consapevoli e attrezzate di noi. E molto più rivoluzionarie! Pensate allo spot Nike con Colin Kaepernick di un anno fa o al post Instagram di Diesel post-Pride di poche settimane fa: solo marketing? Sì, ma con perdite -di profitti in borsa in un caso e di follower nell’altro- molto reali, previste e ovviamente calcolate.
Parlaci di te come donatrice, se lo sei….
Certo: impossibile essere fundraiser senza essere donatori! Sono sostenitrice regolare di 4 grandi organizzazioni internazionali a cui sono profondamente legata: Amnesty International (da cui tutto è nato!), Greenpeace, MSF e UNHCR- e amo quando mi contattano per chiedermi un upgrade. E dono occasionalmente ad altre organizzazioni la cui causa mi colpisce in un momento particolare della mia vita. Ah, e ovviamente dono sempre per l’organizzazione in cui lavoro: se non ci credo io, perché dovrebbero crederci gli altri?
Fundraiser con 17 anni di esperienza, ha lavorato in ogni settore del non profit: dal socio-sanitario alla cultura, dalla cooperazione internazionale all’educazione. Si è occupata anche di comunicazione, ricerche di mercato e CSR all’interno di una multinazionale.
Attualmente gestisce un portfolio internazionale di aziende e fondazioni per l’Università Bocconi e ha all’attivo importanti partnership nel segno del sostegno filantropico alla ricerca, all’educazione e al talento.